De Rada Italian Institute

 


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Home |General Info |Summer Language Program Michelangelo La Luna

 

Personal Oil Painting Exhibition: Organized and presented by Prof. Dante Maffia, art critic, poet and writer; Prof. Gianni Mazzei, President of Centro Deradiano, art critic, poet and writer. Fondazione “Roberto Farina.” Roseto Capo Spulico (Italy). August 2009.

Personal Oil Painting Exhibition: "Il turgore del racconto pittorico." ["The swelling of the pictorial story."]. Presented by: Maria Credidio, painter and President of Biennale di Pittura della Magna Grecia; Prof. Giovanni Morello, President of the Vatican Foundation “Beni e Attività artistiche della Chiesa"; Prof. Gianni Mazzei, President of Centro Deradiano, art critic, poet and writer. Palazzo di Cultura Garopoli. Corigliano Calabro (Italy). July 2008.

Painting Exhibition (collettiva): Galleria della Pigna. Rome, Italy. June 2008.

Biennale della Pittura. San Demetrio Corone (Italy). 2003 & 2005

Dudley House Exhibitions. Harvard University, Cambridge MA. 1993-95.

Tutor and Assistant. Dudley House Painting Class. Harvard University, Cambridge MA. 1993-95.

 

Paintings

Spatula Paintings - Oil on Canvas

 

Spruzzi di primavera (Spring Squirts) 36x28 cm

Colori in movimento (Colors in movement) 60x45 cm

Leaves explosion 23x27 cm

Rossi d'autunno (Red of Fall) 26x20 cm

Esplosione d'universo (Explosion of Universe) 60x45 cm

Rosso sangue (Red Blood) 30x47 cm

Vultus Christi 23x27 cm

Vortice 1  51x41 cm

Vortice 2  51x41 cm

Layers of Consciousness  60x45 cm

Cicli (Cicles) 25x20 cm

Celesti in movimento (Celestial Moving) 36x28 cm

España (Spain) 107x100 cm

Nell'erba (In the grass) 107x100 cm

Esplosione (Explosion) 60x45 cm

Graffi (Scratches) 51x41 cm

Blue marini (Marine blue colors) 51x41 cm

Brasil 60x45 cm

Mi jardín (My Garden) 142x111 cm

Prato con fiori 1(Field with Flowers 1)  60x45 cm

Prato con fiori 2 (Field with Flowers 2)  60x45 cm

Campo (Field)  30x20 cm

A Pasolini (To Pasolini) 60x45 cm

Estate (Summer) 60x45 cm

Primavera (Spring) 60x45 cm

Fall of Colors  60x45 cm

Paesaggio 1 (Landscape 1) 36x28 cm

Paesaggio 2 (Landscape 2) 36x28 cm

 

  IL TURGORE DEL RACCONTO PITTORICO

 

Per anni, dopo le immagini stillanti luce di “Vjeshe Arbresh” (1999), Michelangelo La Luna si è tenuto dentro quel colore vivo, giovane, passionale.

Era sangue caldo fluente della diaspora di un’etnìa, quella albanese, che si sostanziava  ora del miele dolcissimo dei fichi sulle colline seccagne della terra calabra, ora si rinsecchiva nel freddo della lontananza e della morte o si liquefaceva nell’azzurro intenso del mare o infine esplodeva come mortaretti nei chicchi del melograno, seducenti come morsi acerbi di giovane donna.

Poi, improvviso, il colore assunse ritmo spaziale, si diede regole nella campitura del quadro per sistemare emozioni, diventando racconto di idee e cose che bruciano di un fuoco più bianco, senza però rinunciare  alla  fresca luminosità di altri lavori.

E, allora, sapientemente amalgamando, nel vertiginoso cromatismo, il lirismo primigenio, quasi stato evocativo, musicale, un’“improvvisazione”  chopeniana,  con la linea ferrigna,mossa,disperata a volta di Hemingway, nonché col vorticoso procedere di bolero di ravel e infine con la terra assolata, immemore dell’Andalusia di Lorca, Michelangelo La Luna ha raggiunto  una rara immobilità drammatica, metafisica da cui è esclusa, come rischio di marciume, la presenza dell’uomo e della storia.

Guardate le colline e i calanchi che ci riportano al sud e alla descrizione di Carlo Levi: gli alberi, nella spatolata grassa, assumono la consistenza dell’arazzo ,mentre il marrone della terra sconfitta dal sole cerca inutile refrigerio e una pioggia ristoratrice che mai giunge, giacché “ la morte si sconta vivendo”.

È straordinario come Michelangelo sappia simulare in questo colore fermo, acceso, compatto e lussureggiante tutta la fatica e la precarietà del vivere e i buchi neri dell’anima.

Anche quando il brillìo del colore rasserena e si distende in momenti idilliaci, sospesi nell’aria come volo di libellule, sente un’oscura minaccia  come un pozzo profondo che repentinamente ingoia la luce.

Michelangelo è ingordo di luce, di  spazio, di tensione, di violare limiti proibiti: è l’inquietudine dell’intellettuale, è la diaspora duplice, del Sud e dell’etnia, è l’angoscia dell’uomo contemporaneo, che,mentre la tecnologia inneggia alla conquista dell’universo, si sente sperduto in questi spazi sterminati della mente, senza più coordinate e porto di approdo.

Proprio per questo, il colore disciplinato dalla mente, per avere un ubi consistam e dare certezza morale, si  apre, in quei rossi, colate di fuoco che incendia, a vistose macchie nere, come tarme o tumore nascosto che all’anima, giorno per giorno, dà morsi da cane.

Ma, a volte, la tempesta si placa e il paradiso, diversamente dall’Angelus novus di Klee, non si impiglia nelle ali, per cui il volo è consentito.

Succede così che i pigmenti celesti, il giallo tenero che richiamano affetti ancestrali: la terra nel turgore della spiga bionda di grano e il grembo delicato e misterioso della donna, diventano allegri,dialogano tra loro e ancora una volta l’incanto della vita e della speranza si rinnovano, in “letizia del futuro” come dice Michelangelo in una sua poesia.

 

Gianni Mazzei

Trebisacce, lì 13.3.2008

 

Sono almeno tre gli elementi che è possibile enucleare nella giovane pittura di Michelangelo La Luna.

Il primo è certamente legato all’uso del colore: un colore vivo, intenso, corposo ma non irreale, che sembra quasi prendere vita, anzi movimento, – come significativamente intitola una sua opera -, o esplodere in un cosmico assemblarsi di luce. Un colore che nasce dal ricordo intenso, forse venato di melanconica nostalgia delle terre arse e assolate di Calabria, dall’oro lussureggiante delle spighe mosse dalla brezza gentile del vento marino, dal verde cupo e vitale degli ulivi digradanti dalla collina verso il mare. Per intrecciarsi e confondersi con quello più brillante degli aranci.

Un colore che non sembra affatto ricerca di effetto, ma moto spontaneo, quasi fonte zampillante da esperienze vissute e reali, come in quel mescolarsi di rossi e di gialli, che rimanda alla Spagna e soprattutto al suo amore. Effetti di colore che sembrano conquistare, anzi ammaliare l’osservatore, ma che allo stesso tempo trasmettono un’onda di sentimenti profondi, che nascono non solo dal mondo poetico dell’artista, ma anche dal suo rapportarsi con il reale.

La pittura di Michelangelo La Luna ad un occhio distratto potrebbe apparire banalmente astratta e ripetitiva, in realtà l’osservatore attento riesce a ritrovare in essa messaggi e significati che rinviano ad esperienze vissute, che ognuno può verificare e confrontare con le proprie esperienze, con le proprie sensazioni.

L’assenza dell’uomo, della figura, nella sua pittura non è un’assenza ad excludendum, bensì sembra naturale anche se nascosta. Non ci meraviglia non trovarlo lì, perché tutto ci parla di lui, ci rimanda a lui. È una presenza di Assoluto.

È questo l’altro aspetto che mi sembra di poter cogliere nell’opera pittorica di Michelangelo La Luna: è un aspetto che rimanda all’universale. La sua visione della realtà infatti non è una visione parziale, racchiusa nel microcosmo affettuoso del natio campanile, ma apre al macrocosmo, ad una sfida di universalità. La scena di tanti sui dipinti si presenta quasi come un tassello di un paesaggio o di un racconto ben più vasto, potremmo dire infinito: è quasi come uno zoom che inquadra un particolare e che, solo se ne avessimo la possibilità, potremmo allargare in una visione più ampia, senza confini.

Infine la dolcezza, la serenità che la visione di questa pittura sembra consegnarci. Una serenità che non vuole annullare le passioni o i drammi del nostro vivere quotidiano, ma che rimanda alla speranza di una vita vissuta nell’ottica dell’amore, dell’amicizia, della condivisione, in famiglia, con gli amici, nello studio, e che si stempera in quella speranza più grande – non asbbiamo timore i dirlo – del messaggio cristiano.

 Giovanni Morello

Roma. 20 giugno 2008

 

 

MICHELANGELO LA LUNA

 

Non ho mai chiesto a Michelangelo se il suo è un nom de plume, uno pseudonimo, insomma un nome inventato per attirare immediatamente attenzione sulla sua persona. Certo è affascinante e viene spontaneo pensare che nomina sunt consequentia rerum, antichissima credenza greca poi presa in prestito dai romani.

 

Michelangelo è un letterato, un poeta, uno studioso di letteratura (sono moltissime le sue pubblicazioni e tutte filologicamente inappuntabili) e conosce, dunque, gli intrecci che la pittura da sempre ha avuto con la poesia e con la narrativa, anche per aver visitato i grandi musei europei e americani. Negli Stati Uniti egli insegna presso l’ Università di Rhode Island, le sue conoscenze sono svariate, il suo amore per le arti figurative nutrito di interesse crescente, fino al punto di decidere di mettere mano egli stesso sulle tele, di organizzare il suo mondo interiore di immagini in un discorso più o meno unitario e comunque teso a realizzare quella parte fantastica che la parola, soprattutto la sua parola poetica, aveva appena adombrato acciuffandone sfumature e bagliori.

 

Così il letterato dipinge (non è il primo e non sarà l’ultimo, per una serie di esigenze naturali che io ho trovato e trovo ogni giorno in riscontri sempre più ampi e verificabili), come hanno dipinto, per fare soltanto qualche nome a caso, Victor Hugo, Oscar Wilde, Federico Garcia Lorca, Leonida Repaci, Massimo D’Azeglio, Pier Paolo Pasolini. Ma nel suo caso non è la pedissequa ripetizione del suo io  letterario che si pone in diversa maniera, è un risvolto diverso, un altro Michelangelo La Luna che vuole cogliere la sensibilità del suo tempo con lo strumento delle immagini. Un po’ quello che sosteneva Carlo Dossi quando mise mano alla teoria delle arti sorelle, anche se sorelle, si sa, sono state fin dai tempi di Dante e di Giotto.

 

Ho avuto il privilegio di vedere questa mostra qualche giorno addietro nello studio di Michelangelo. Mi sono subito reso conto che egli non solo “è ingordo di luce”, come ha scritto Gianni Mazzei, ma inventa toni ed abbacinamenti di una luce pescata in anfratti segreti e lontani. In qualche modo la sua è una sfida che vuole rompere gli schemi del risaputo e arrivare a certe radure in cu la verginità dello sguardo ritrova la sua tensione ideale. Si badi però che non si tratta di luce sfatta o nostalgica, ma di consapevole fulgore che porta alla verità dell’emozione. Per un attimo guardando le tele si può avere la sensazione di cadere in un vortice, ma a poco a poco si aderisce a ciò che egli dispone, fino a farci sentire parte integrante del suo universo. Un universo compatto, in cui la voce dell’umano non è sepolta o perduta, è semplicemente in agguato per esplodere ogni volta che qualcosa di torbido tenta di assonnare il senso.

 

Michelangelo perciò diventa interprete di ansie che non si placano, di istanze che si aprono all’universale e insistono per diventare presenza senza connotati che pesano, vento che sa portare messaggi nuovi, stimolo che induce alla meditazione e canto che anela alla libertà.

 

Dante Maffia, agosto 2009

 

 


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